Criceti nella ruota

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Mi imbatto in questo articolo e ci clicco sopra con la totale consapevolezza di un masochismo catartico: per farmi del male ed auto-confermarmi che mi sto facendo del male – per darmi un’ulteriore scusa astratta per trovare una via di fuga. Un po’ come quando il medico conferma che hai l’influenza – e sei malconcia ma sollevata, perché almeno avrai qualche giorno a casa.

http://llht.org/2015/12/28/due-terzi-schiavo/

L’articolo parla di come, di fatto, la maggior parte delle ore che trascorriamo a lavorare, servano in realtà per poter acquistare oggetti o servizi che sono a loro volta funzionali al lavoro stesso.
Un po’ il brutale motto del Fight Club, insomma: “Passi la tua vita a lavorare per comprarti la macchina che ti serve per andare a lavorare”.

Lo leggo.
Leggetelo.
Fa pensare. Ti scuote un po’. Per qualche istante ti fa pensare “Cavoli, è vero, è proprio così” – qualche breve istante liberatorio, e stai quasi per formulare mentalmente la fatidica frase “Ecco la soluzione”. Ma ti fermi.
Non è proprio così.

Innanzitutto.
Punto primo, sul quale non sono stata d’accordo nemmeno durante i brevi istanti di liberatorio obnubilamento di cui sopra.
Viaggiare.
Francamente, a parte alcune cose più imprescindibili e prosaiche tipo le bollette o il cibo, io di solito affermo che lavoro per viaggiare.
No, non viaggio per lavoro – lavoro proprio per poter viaggiare.
È il motivo per cui continuo a voler fare questo lavoro, pagato un pochino più decentemente rispetto ad altri – anzichè scegliere qualcosa con meno… come dire… responsabilità? Rischi di corto circuito alle sinapsi? Ecco, quest’ultima immagine rende meglio.
Poi – verissimo, il contraltare di questo mestiere è che ottenere le ferie si trasformi spesso in un pellegrinaggio in ginocchio fino al santuario di Lourdes.
No, non faccio il medico del Pronto Soccorso.
Anche se il mio precedente capo diceva sempre che invece dovremmo proprio ragionare come se fossimo medici del Pronto Soccorso, perché in tal caso non potremmo permetterci di dire “Lo faccio dopo” – la gente morirebbe. Il punto in realtà è che proprio nessuno muore se noi facciamo le cose “dopo” o se uno di noi va in Patagonia per due settimane – ma lasciamo stare.

Veniamo piuttosto agli altri punti.
Non lavoro in un ambiente in cui sia strettamente richiesto un abbigliamento formale. Quindi i vestiti che mi compro è perchè mi fa piacere comprarli. Probabilmente provocherò l’orrore di Enzo & Carla ma il mio guardaroba non è diviso fra lavoro e tempo libero. Se non lavorassi farei esattamente gli stessi acquisti.
Discorso analogo per le cene fuori.
Vado a cena fuori perchè considero il buon cibo ed il buon vino due fra i massimi piaceri della vita. Perchè mi piace sperimentare accostamenti ed ingredienti inusuali. Perchè mi piace trascorrere la serata assaporando e conversando.
Non per vantarmi con i miei colleghi di aver provato quel nuovo locale trendy. Non perché se non sperimento la cucina fusion e non pasteggio a botte di almeno 100 euro non mi sento socialmente accettata nel mio ambiente professionale.

Poi c’è quello che l’articolo non conteggia.
I soldi in più che spenderesti non avendo un lavoro, con più tempo libero da dedicare alle tue passioni, alle idee che ti sbocciano in mente e che invece devi lasciar sfiorire perchè le poche ore che ti rimangono libere in serata uscita dall’ufficio non sarebbero sufficienti a coltivarle.

Quindi?
Quindi onore all’autore dell’articolo per la sua scelta coraggiosa – ed ammirazione per la libertà che è riuscito a conquistarsi.
Ma per quanto mi riguarda non è una ricetta che funziona.
Per me non è così facile scendere dalla mia ruota da criceto.
Sono condannata a rimanere lì a farla girare?
A volte me lo domando.
A volte non ci penso. Keep calm and carry on. Tutte le ruote girano, anche quelle da criceto.
Altre volte invece ci penso così tanto che non vedo solo la ruota ma anche la gabbia che ci sta attorno. E mi sento addosso la cappa di uno sconfortante ergastolo.
Dalle prigioni, quando non si può evadere fisicamente, si cercano evasioni mentali.
Ognuno di noi ha le sue evasioni per non impazzire.
Io leggo, ad esempio. Non lavoro per comprarmi la macchina che mi serve per andare a lavorare. Ci vado in metropolitana e leggo. Mi immergo fra le pagine ed evado. Venti minuti di vita diversa prima di tornare giù nella mia.
Scrivo.
Per il potere terapeutico di buttare fuori pezzi di cuore e di pensieri sotto forma di parole. Perchè una volta che sono fuori, ordinati in una frase di senso compiuto, acquisiscono a volte significati che prima ci sfuggivano, e, ogni tanto, finiscono anche per pesare un po’ di meno.
Mi regalo qualche innocente forma di libertà, di evasione.
Una passeggiata al parco in pausa pranzo. Un giro in libreria. Un po’ di solitudine. Parole con un’amica.

Penso alle alternative che potrei avere per scendere dalla ruota, per uscire dalla gabbia.
Sono solo un criceto. Non sono un lupo, non sono un’aquila. Non saprei sopravvivere nel bosco.
Devo imparare? Cercarmi una tana da cui poter non uscire più? O mi basta una gabbia più bella, una ruota che mi piaccia di più?
Non lo so.
Non so se lo saprò mai.
Forse.
Intanto devo continuare a far andare avanti la ruota. A non sapere se in effetti un po’ mi piace o me la sto solo facendo piacere.
E ad evadere con innocenza. A volte forse con un po’ di disperazione.
Ma, almeno, non con rassegnazione…

2 pensieri su “Criceti nella ruota

  1. Ciao Catherine,
    ti ringrazio due volte. Sia per avermi citato (non sai in quanti hanno “prelevato” quel pezzo senza neanche indicare l’autore), sia per quello che dici, che trovo molto interessante e ricco di stimoli.
    Comprendo perfettamente il tuo punto di vista. Viaggiare e la buona cucina sono due modi assolutamente “nobili” per impiegare il denaro faticosamente guadagnato con il proprio lavoro. Tuttavia, mi permetto di farti notare due cose:
    1) Sono due attività che possono essere fatte, procurando analoghe soddisfazioni, a… intensità variabili, diciamo così; spendendo anche molto poco, cioè. Come dico sempre, si possono adottare “soluzioni di prossimità” in entrambi quei campi. Non c’è bisogno di andare dall’altra parte del mondo per seprimentare la sensazione della scoperta, così come non occorre sperimentare la cucina di uno chef per sorprendere e deliziare il nostro palato.
    2) Sostenere, come legittimamente fai tu, che i viaggi e la buona cucina giusificano la permanenza in quella ruota… bè, significa appunto non “volerne” uscire, farne cioè parte integrante. Perché, a meno che non si sia figli di papà (e non mi sembra sia neanche il tuo caso), il biglietto da pagare per uscire da quella ruota lo si acquista proprio con la “valuta” della consapevolezza, convincendoci cioè che possa bastare molto meno, nella nostra vita, per ritenerci soddisfatti e stare bene con noi stessi. La scelta è come sempre nostra. 😉

    Ciao, un caro abbraccio
    Andrea

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    1. Ciao Andrea,
      in realtà la mia non era una critica alle motivazioni che hai esposto. Le tue sono argomentazioni validissime, e personalmente non posso che esprimere ammirazione per chi, come te, riesce a compiere queste scelte.
      Le mie riflessioni erano semplicemente sul fatto se, per caso, queste argomentazioni potessero o meno fare al caso mio.
      Penso di no, perché nel mio caso queste voci di spesa non sono così estreme e perché il mio driver nel compierlo non è il dover avere uno stile di vita socialmente accettabile – anzi. Quindi sono cose che non andrebbero a decadere scendendo dalla ruota.
      Non è che giustifichino la ruota. E’ che, nel mio personale caso, il rinunciarvi non sarebbe sufficiente a risparmiarmi dalla ruota.
      Hai comunque fornito degli spunti di riflessione molto validi, quindi ti ringrazio sia dell’articolo che del commento!
      Un caro saluto

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